di Costanza Dei Rossi

In un mercato digitale costantemente in crescita non è di oggi l’impossibilità di parlare di reale e virtuale come di due mondi nettamente distinti. Fisico e online si susseguono senza soluzione di continuità durante tutte le nostre giornate. L’emergenza di questi mesi ha sicuramente sottolineato le potenzialità di quella stessa tecnologia che è al contempo croce e delizia di ormai più di una generazione. In questo contesto non è un caso che alcune dinamiche di cambiamento abbiano visto un’accelerazione, e che grandi player come Amazon, Facebook e Google si siano rincorsi nell’offrire servizi sempre più avanzati e completi.
Negli stessi mesi, quelli del Covid-19, che ci hanno visto abbandonare gran parte dei luoghi fisici, tantissimi utenti Amazon Prime hanno scoperto che il loro abbonamento annuale non comprendeva solo il servizio di spedizione veloce ma anche l’accesso a contenuti video (Prime Video), audio (Audible), ebook (Prime Reading), musicali (Prime Music) e gaming (Twitch Prime). E mentre Amazon invadeva il mercato di Netflix, Shopify ed Apple, Google con Shopping free e Facebook col neonato Shops, rincorrevano Amazon sul terreno dell’e-commerce, forti di un numero di utenti su scala mondiale enorme.
L’obiettivo comune sembra essere uno: aggiudicarsi l’eterno login, tenere l’utente dentro al proprio ambiente e fargli passare la voglia di spostarsi su un’altra app, un altro sito o anche solo su un altro browser.
Google Shopping : la vetrina Google adesso è per tutti
Il 21 aprile Bill Ready, President of Commerce a Mountain View, annunciava la possibilità di comparire tra i risultati di Google Shopping anche senza essere degli inserzionisti a pagamento. Come dicevamo, con l’accelerata degli acquisti online dovuta all’emergenza Covid, non è un caso che un cambiamento come quello annunciato da Ready sia stato messo a disposizione in anticipo rispetto ai piani iniziali. Pare infatti che non sia stata una decisione dell’ultimo minuto, ma che già da tempo si stesse lavorando in questa direzione e che le circostanze abbiano semplicemente accelerato il processo di rilascio, assicurandosi al contempo una comunicazione legata ad un tema caldo come quello della crisi del commercio dei negozi fisici.
D’altra parte, è da tempo che Google Shopping sperimenta cambiamenti e migliorie alle sue funzionalità: ad Ottobre dello scorso anno se ne era uscito con un titolo al quanto interessante sul «nuovo Google Shopping» che, sempre su mercato USA, si autocelebrava come la risorsa dove trovare «the best prices and places to buy». Dietro quel «places», non website o e-commerce, ma posti, si può cogliere tutta la differenza e tutta la volontà di voler sempre più unire i negozi fisici, al motore di ricerca, al commercio online in un unico ambiente. Unire i puntini per massimizzare la sua competitività raccogliendo i frutti di tutto ciò che Google è diventato.
Seppure poco utilizzato, in Google Merchant Center esiste infatti già un programma separato chiamato «Local Surfaces» dedicato ai prodotti disponibili nei negozi fisici e anche in questo caso la tecnologia alla base è un feed inventario di tutti i prodotti disponibili. Con il lancio sul mercato americano (quasi sempre il prescelto per le novità di Big G), lancio che coinvolgerà a breve anche le altre country (entro l’anno la nuova funzionalità sarà disponibile su tutti i mercati), Google ha voluto dare un segnale forte di vicinanza anche a quei rivenditori che attualmente non usufruiscono ancora della pubblicità a pagamento o non possono permettersi di farlo. Un altro mattone nella lotta alla concorrenza con Amazon per il commercio elettronico è stato posto.
Si sa che Amazon è diventato esso stesso un motore di ricerca (anche piuttosto raffinato) a cui gli utenti spesso si rivolgono direttamente per cercare e acquistare prodotti di ogni genere. Anche se i dati ci confermano che la ricerca su Google resta un tassello fondamentale nella customer journey degli utenti, col tempo le abitudini sono sicuramente cambiate, soprattutto su certi target di utenti. Diventare un ambiente di ricerca e-commerce che raggruppi al suo interno prodotti diversi e di diversi rivenditori è sicuramente un passo che in quest’ottica sembra voler unire due mondi e due livelli diversi del funnel di conversione per non perdere ulteriore terreno.
Anche la nuova collaborazione tra Google e Paypal andrà probabilmente nella stessa direzione: favorire comodità e facilità di acquisto dando la possibilità agli utenti di pagare direttamente tramite la vetrina di Google Shopping senza passare dai singoli siti dei rivenditori. Quella stessa comodità che spesso gioca un ruolo fondamentale quando si tratta di concludere su un rivenditore piuttosto che un altro, la stessa spinta che in molti casi spinge l’utente direttamente verso Amazon. Una sola registrazione, un intero mondo e-commerce (e di app) a portata di mano.
Dal punto di vista di Google una direzione di questo tipo sembra piuttosto in linea con tutti quei cambiamenti (vedi ad esempio i famosi «risultati zero», ma anche la ricerca hotel, le previsioni meteo, le formule etc.) che nel tempo hanno permesso al motore di ricerca di tenere l’utente sempre più all’interno del proprio ambiente, fornendo direttamente risposte che prima erano raggiungibili solo entrando nei siti web che lui stesso proponeva.
Un tuffo nel passato
È davvero tutto nuovo per Google? In realtà non proprio perché Google Shopping, anche se sotto mentite spoglie, esiste fin dal lontano 2002. Il servizio si chiamava Froogle e si presentava come una «guida agli acquisti» disponibile in USA e UK. Presto però Big G si rese conto di alcuni limiti della piattaforma. In primis decise di cambiare il nome ricongiungendolo a quello più forte del brand principale perché si rese conto che lanciare un brand completamente nuovo non andava a vantaggio di un’azienda, che seppure già forte, era relativamente giovane: nel 2007 diventò quindi Google Product Search. Ma i problemi rimanevano, infatti Google non era tecnologicamente pronto a garantire una certa qualità e consistenza dei feed che finivano per portare risultati non ottimali dal punto di vista dell’utente finale. Inoltre, i rivenditori erano sempre gli stessi e questa consapevolezza non aiutava certo il largo diffondersi dell’utilizzo della piattaforma. Ecco che come ciliegina sulla torta altri big player (EBay, Amazon, ma anche tutti i comparatori di prezzo) guadagnavano sempre più fette di mercato con una qualità dei risultati già nettamente migliore del buon vecchio Froogle.
È così che si arriva al 2012, anno in cui Google migliora sicuramente la tecnologia ma la chiude all’interno della propria piattaforma di advertising, limitando il neonato Google Shopping a coloro che investono in advertising. Ecco quindi che il cambiamento di questi mesi è sicuramente studiato in una strategia a lungo termine, ma reso possibile da una tecnologia che rispetto a dieci anni fa ha nettamente migliorato le sue capacità di verifica e controllo della qualità dei feed. Se questa volta riuscirà a non ricadere nell’oblio è presto per dirlo.
Un cambiamento, tante nuove domande
Come funziona quindi il «nuovo» Google Shopping
e come cambierà l’approccio a questo strumento?
A riassumere i vantaggi per tutti coloro che ruotano intorno a Google Shopping è lo stesso Bill Ready nella sua nota. Per i rivenditori il vantaggio è chiaro: avere un’esposizione gratis dei propri prodotti. Per tutti gli acquirenti significherà poter contare su un catalogo prodotti ed una varietà di rivenditori maggiore rispetto a quanto succedeva fino ad ora sulla tab Google Shopping. Per chi è già inserzionista si amplificherà la visibilità potendo aggiungere, oltre ai risultati a pagamento, anche quelli organici.
Quindi conviene interrompere le campagne
e contare esclusivamente sull’ organico?
La risposta è assolutamente NO. Le strategie adv su Google Shopping non dovranno essere abbandonate o cancellate dai propri investimenti, ma casomai sarà sempre più fondamentale lavorare in sinergia con la parte organica.
Quale sarà l’approccio giusto per non perdere in efficienza e ROAS?
Così come succede per tutte le campagne di search marketing, i risultati a pagamento saranno sempre in cima alla lista, mentre le logiche di visibilità organica andranno affrontate sia a livello di costruzione del feed che di ottimizzazione delle pagine prodotto. Se oggi le campagne Smart lasciavano poca manovra agli inserzionisti e l’intelligenza artificiale faceva la gran parte del lavoro, nel nuovo scenario ci dovrà per forza essere un cambio di rotta.
Come si modificherà lo scenario competitivo?
In primo luogo, si aprirà una nuova arena, ovvero la SERP di Google Shopping: come già successo in passato, chi si muoverà per primo e con l’approccio corretto potrebbe guadagnare un vantaggio competitivo complicato da recuperare per chi arriverà successivamente. In seconda istanza, l’opportunità della visibilità organica porterà l’ingresso di molti nuovi merchant che prima non investivano in adv ma che, dopo aver costruito il feed in ottica SEO, in buona parte andranno a testare anche la visibilità paid (magari con qualche incentivo commerciale da parte di Google). Con l’aumento della competition, aumenteranno anche i bid.
A che livello sono attualmente il tracciamento
e la reportistica della piattaforma?
Grande assente al momento è un sistema di tracciamento e monitoring specifico e nativo dedicato alla parte organica delle performance su Google Shopping. Su Google Merchant Center oggi possiamo già vedere una divisione tra click organici e click a pagamento, ma siamo ancora a livelli di una reportistica molto basica.
Google interverrà sulle piattaforme per semplificarci la vita
e permetterci di raccogliere più dati?
Chi desidera può sicuramente intervenire tecnicamente sui feed per isolare e distinguere i risultati, ma sta di fatto che ancora non si è parlato di una funzione dedicata né all’interno di Analytics, né di Merchant, né di Search Console.
Parliamone al Web Marketing Festival
Ci si domanda se le nicchie di mercato ne trarranno vantaggio e se anche i piccoli rivenditori sapranno sfruttare questa potenzialità. È ancora presto sia per discutere dell’efficacia di questa modifica in termini di performance da parte di coloro che già utilizzavano Google Shopping, e ancora meno per capire se effettivamente chi non lo utilizzava se ne servirà su larga scala.
Almeno sul mercato italiano, ancora relativamente acerbo dal punto di vista digitale, ma fatto di un tessuto di piccole (e piccolissime) medie imprese, l’opportunità sicuramente è reale, ma il digital divide, la non sempre presente cultura digitale delle aziende e la mancanza di capacità tecniche specifiche potrebbe frenare o rallentare tanti rivenditori.
Visto il rilascio previsto in Italia per la seconda parte dell’anno, potrebbe essere un primo banco di prova per capire se la sterzata digitale forzata degli ultimi due mesi a causa del Covid sia stata solo una necessità temporanea o un reale cambiamento progettuale di medio termine.
Di tutto questo parleremo al Web Marketing Festival Online il prossimo venerdì 5 Giugno alle 15:50 in un intervento dove approfondiremo le opportunità di questa novità per essere pronti a sfruttarne i vantaggi non appena arriverà in Italia o, per chi vende già nel mercato americano, per farlo fin da subito.

